In quel di Cagliari, al n.128 di via Lamarmora ci sono affisse due targhe. Una riporta: "Istituto nazionale di geofisica, osservatorio astronomico di Sardegna, stazione sismica". L’altra: "Gruppo Speleologico Pio XI", dedicata al Papa sovrano del nuovo stato della citta’ del Vaticano. La pose il gesuita padre Antonio Furreddu, che fondò il sodalizio agli inizi degli anni '50; fu scienziato, speleologo, padre della speleologia sarda.
In questa sede museale sotterranea, con all’interno antichi camminamenti spagnoli, troneggia un sismografo, vecchio signore del fu Centro Sismico Sardo, da lui diretto, che per nostra fortuna poco o niente sussultò. All’interno vecchi cimeli che rimandano a una speleologia pionieristica, con primitive scale, vecchie e logore funi, minerali di ogni tipo, insetti vari e geotritoni in provetta, ossa di prolago sardo. Foto sbiadite di grotte e giovani ormai sessantenni, dove la foca monaca nella grotta del fico, ultima testimone di una Sardegna meno turistica, troneggia su tutte. Ogni oggetto rimanda al ricordo di Padre Furreddu, nella nostra memoria "del gesuita" il rigore, l’essenzialità, la concretezza "dell’uomo" il carisma, l’umanità, la pacatezza. Libri di chimica e fisica da collezione, trattati di vario genere, strumenti e apparecchiature stranissime, e una grande quantità di libri e riviste, tra cui Speleologia Sarda da lui creata, ricordano lo scienziato. Le anime che ancora frequentano questa sede storica sono maturi signori che ancora, dopo tanti anni, ogni mercoledì scendono i gradini di sempre, portandosi in spalla i giovani speleologi che sono stati, ricchi di quella civiltà del vivere che Padre Furreddu, nel suo crogiolo di umanità accolse e coccolò. Ora questa sede non risuona più del tintinnio metallico di scale, moschettoni, maniglie ma di suoni di parole in un cenacolo culturale, accogliente, con la porta sempre aperta a tutti coloro "speleologi e no" vogliono condividere tutti quei valori che padre Furreddu seppe infondere in tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e amarlo. Ma ne andrebbe aggiunta un'altra di targa all’ingresso di questa storica sede, dedicandola a quello che fu l’alter ego, il braccio destro di Padre Furreddu, ossia Paolo Valdès, che una vigliacca malattia ci ha rubato troppo presto. Traghettatore di anime e passioni non solo speleologiche, col carisma del condottiero, del capobranco, motore pulsante, organizzatore e trascinatore appassionato di mille avventure. La sua candida R4 la si vedeva spesso in quelle montagne cambriche del Sulcis Iglesiente, stipata di giovani speleologi, imperiale zeppo di zaini colorati, scale, funi e bidone di carburo, come una vecchia diligenza trainata da quattro fieri cavalli a solcare antichi e impervi sentieri di "damnati ad metalla". Cuccuru Tiria era la grotta per l’iniziazione, con pochi elementi, tuta, scarponi, imbrago, shunt e boccidì, poca tecnica e grande cuore. E’ proprio il cuore che spesso lo tradiva, il suo grande motore. E’ lui che ci fece scoprire il miracolo di una piccola fiammella, capace di uccidere il buio e trasformare oscuri meandri in paradisiache visioni dantesche con poco inferno. Appassionato ricercatore di angoli remoti "come padrona la bellezza" di una Sardegna remota e sconosciuta, selvaggia, a raccontarla come solo lui sapeva fare. Erano i suoi rifugi, quell’Ogliastra selvaggia che tramonti africani su rocce rosse rendono incandescente, con a seguire un gran falò, carne arrosto, risate e cannonau. Poi il golfo di Orosei, dove è nata la bellezza, quella che il sole illumina di rara di luce inebriante, e quella che antri infiniti nascondono nel suo ventre. Si è sempre nutrito di bellezza, Paolo Valdès, amico indimenticabile, gabbiano leggero che ancora vedo volteggiare sulle antiche grotte che hanno accolto il suo respiro e sulle passioni condivise di una vita insieme.
Il gruppo speleo "Pio XI – A. Furreddu"